L’ importanza di idonei servizi funebri per dare alla “morte” la valenza sociale che merita
Nicolas Tiburzi 14/12/2022 0
Recuperare una cultura del fine vita e re-inventare il rito funebre è fondamentale: la rilevanza di
questa necessità non riguarda solo il campo psicologico dell’ individualità, ma la dimensione
sociale della collettività.
Il rito funebre permette di esorcizzare la morte, fare fronte all’angoscia che essa rappresenta,
alleviare il senso di solitudine. Condividere il dolente momento ed elaborare la perdita consente
numerosi vantaggi anche a livello psicologico. Da una dimensione individuale, a una dimensione
condivisa: i servizi funebri devono restituire all’ “evento morte” la valenza socio – culturale che
decisamente merita!
Senza dubbio, il culto della morte e dei morti è da sempre un elemento caratterizzante di ogni
popolazione.
Il rito funebre, variabile per culture, usi, tradizioni, epoche, è stato nel corso del tempo oggetto
di diverse modifiche, ma nei fatti, si parla sempre di gesti e comportamenti socialmente
condivisi e riconosciuti, finalizzati a dare dignità e in qualche modo “esorcizzare” il timore e la
paura dell' evento morte, ma anche ad elaborare il doloroso momento della perdita.
Ad oggi, la tematica è quasi un tabù, un tema scomodo che si cerca di evitare. Come se la
morte non ci toccasse, un po' come rimandare il pensiero per non volercisi “soffermare”.
Nei fatti, invece, essendo questo un dolente accadimento che ci dobbiamo trovare tutti, prima o
poi, ad affrontare, merita di essere preso in considerazione con luce nuova.
La morte è a tutti gli effetti circondata da gesti simbolici e questo è un tratto distintivo dell’uomo.
Fa parte della natura umana, infatti, rivolgere cure, attenzioni e sentimenti verso i defunti.
Secondo noi di Tanmagazine, non è solamente quanto mai necessario recuperare una cultura
del fine vita, ma esiste anche - e soprattutto - un grande bisogno di re-inventare il rito funebre, e
i servizi ad esso collegati.
E la rilevanza di questa necessità non riguarda solo il campo psicologico dell’ individualità, ma
la dimensione sociale della collettività.
Non ci sono dubbi, infatti, che il dolore provato e mostrato per la perdita di una persona cara
segua una serie di rituali, amari e consolatori, nonché il bisogno di elaborare il lutto e la perdita.
In questo senso, i servizi funebri non possono esimersi dall’ esserne all’ altezza: si tratta di
accompagnare questo momento verso un passaggio naturale, da vita terrena a “memoria”, in
modo quanto più dignitoso possibile.
Siamo pienamente consapevoli che ad, oggi, il rito funebre, nell' immaginario e nella cultura
condivisa, non sia affatto “sentito”.
Un tempo c’era più attenzione e cura per il defunto, ma, anche in questo campo, gli usi e i
costumi cambiano, e adesso, molte tradizioni che prima erano rilevanti, non esistono più.
E’ come se il tema della morte e le questioni ad essa connesse fossero state socialmente
rimosse, destinate all’ombra di un inconscio collettivo, cercando di negare e rimuovere le
emozioni negative che la perdita porta con sé.
Eppure, l’ importanza del rito funebre è fondamentale.
Oggi, la ritualità sociale legata alla morte rimane sì, ma in forma ridotta.
Basti vedere cosa avviene dopo la scomparsa di una persona cara. Il più delle volte parenti e
amici porgono l’ ultimo saluto al defunto abbastanza frettolosamente, o all’interno delle mura
domestiche,
oppure nelle strutture sanitarie, dentro i freddi obitori degli ospedali, luoghi profondamente
inidonei a garantire la necessaria intimità e riservatezza. Altre volte, invece, ci si limita
solamente ad un saluto presso la camera ardente.
Tra l’ altro, in queste situazioni, la salma, provata dal trapasso, si presenta agli occhi delle
famiglie, ovviamente, non in perfette condizioni, anche da un punto di vista puramente
“sensoriale”.
In ogni caso, gesti frettolosi e impersonali non sono certo adatti a rappresentare a pieno i
desideri e le volontà di raccoglimento di famiglia, parenti e amici, che avrebbero bisogno di
tempo per ricongiungersi col caro scomparso, per pregare o, ad ogni modo, per ricordarlo.
Le cerimonie poi sono sempre più spesso laiche, oppure si opta per una breve benedizione,
sbrigativamente, senza particolari emozioni.
Il rischio di tutto questo? Sicuramente, la “spersonalizzazione”. Il lutto è privato, nella pratica, di
gran parte della potenza emotiva e simbolica di un tempo.
Oggi è un evento vissuto spesso sotto forma non pubblica, un dolore che la persona deve
superare essenzialmente da sola, poiché la società tende, come già abbiamo detto, a negarne
e rimuoverne le dimensioni.
Nei fatti, possiamo dire che manca una vera e propria cultura, per il tessuto sociale e per le
famiglie, che possa far capire quanto il rito funebre sia invece importante.
Di fronte alla perdita di una persona cara, spesso si è confusi, insicuri, presi dall’onda delle
emozioni, travolti da un senso di angoscia e di tristezza.
Ecco che le ritualità legate alla morte hanno invece la funzione di agevolare il distacco di chi è
“mancato”, consentendo di avere a disposizione una rete sociale di supporto.
Psicologicamente e socialmente, il rito può presentare anche una lettura simbolica.
Permettendo di “mettere in scena” il dolore, il rito funebre lo porta infatti da una dimensione
individuale a una dimensione collettiva di condivisione.
Numerosi studi e ricerche sono infatti concordi nell’ affermare che il lutto non elaborato e non
trattato provoca angoscia e depressione negli individui e, di conseguenza, nella nostra società.
Il rito funebre, in quest’ ottica, permette invece di esorcizzare la morte, fare fronte all’angoscia
che essa rappresenta, alleviare il senso di solitudine.
Ecco che il ruolo di servizi funebri adeguati, in questo contesto, è essenziale.
Prima di tutto, si rende necessario dedicare attenzione e cura al defunto nelle operazioni di
veglia. E qui diventa cruciale la nostra Tanatoprassi, che consente di offrire maggiore dignità
alla morte, permettendo la conservazione della salma a lungo, in condizioni di igiene e
sicurezza.
E poi, diventano fondamentali una serie di operazioni “sociali”: partecipare attivamente al rito e
dedicare il tempo idoneo al caro defunto, vegliandone le passate spoglie e condividendo questo
momento, in serenità e raccoglimento, con le altre persone.
Tutto questo consente a “chi resta” di alleviare la sofferenza legata al lutto, elaborando il dolore,
il senso di solitudine e di abbandono. Un sostegno, un aiuto, anche pratico, per affrontare la
quotidianità e per riprendere la vita di sempre.
Non solo. La partecipazione attiva al rituale consente di evitare anche possibili complicazioni
future per chi ha subito la perdita, quali depressione e disturbi post traumatici da stress, su cui
numerosi sono gli studi - nel settore della psicologia e delle neuroscienze - che ne attestano la
profonda correlazione.
In conclusione, possiamo dire che di fronte alla tragedia o al dolore, il rito funebre può
consentire alle persone in lutto di accettare emozioni così complesse.
Spesso, i rituali significativi sono in grado di “placare”, “alleviare” sentimenti o sensazioni
negativi o, anche, esprimere ciò che le parole non possono e contribuire, così, all’ elaborazione
della perdita.
In quest’ ottica, riteniamo fondamentale quindi che i servizi funebri si porgano al servizio dell’
individuo e della collettività, contribuendo a dare all’ evento morte, ossia a quel momento
evolutivo dell’ indivuiduo che corrisponde al “fine vita”, la valenza socio – culturale che
decisamente merita.
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Barbara Ruscitti 15/02/2024
La Pandemia e il Silenzio dei Custodi dell'Ultimo Addio: Una Storia di Rispetto e Sacrificio
È il 2024, e finalmente, sembra essere giunto il momento di aprire un dialogo riflessivo sulla pandemia di COVID-19, un periodo che ha scosso il mondo, lasciando dietro di sé storie di dolore, perdita e resilienza. Tuttavia, c'è un aspetto di questa crisi che spesso è rimasto nell'ombra, nascosto dietro il silenzio rispettoso di coloro che vivono il dolore della morte ogni giorno: i custodi dell'ultimo addio.
In un mondo in cui medici, infermieri, politici e virologi sono stati al centro della scena mediatica, gli operatori delle pompe funebri hanno agito nell'ombra, offrendo il loro servizio con dedizione e umanità. Il 2024 è iniziato, ma è tempo di dare voce a chi ha affrontato la pandemia da una prospettiva unica.
Un primo pensiero va ai colleghi che hanno perso la vita durante questa crisi, inclusi nella lunga lista delle vittime. Nonostante la loro importanza, il lavoro di questi custodi dell'ultimo addio è stato spesso ignorato dai mezzi di informazione, che si sono concentrati su altre figure cruciali nella gestione della pandemia.
Il Santo Padre ha offerto un unico ringraziamento durante un Angelus domenicale, riconoscendo il loro prezioso lavoro. Tuttavia, il silenzio mediatico ha persistito, relegando l'importanza del loro ruolo a un secondo piano. Vivendo una realtà in cui il lutto si mescola con la routine quotidiana, questi professionisti sono abituati a gesti scaramantici, osservati mentre sono fermi al semaforo con i loro mezzi di lavoro.
Nonostante la percezione comune che il loro lavoro sia dettato dal guadagno, questi custodi dell'ultimo addio si distinguono per il rispetto e l'umanità con cui trattano ogni defunto. Ognuno di loro adotta piccole attenzioni, come mettere un fiore tra le mani del defunto, nascondere un santino nella cassa o posare una monetina o una medaglietta. Questi gesti non sono per i propri cari, ma per le persone di cui si stanno occupando, dimostrando un amore che va oltre le convenzioni.
La pandemia ha rappresentato una sfida emotiva per questi professionisti, impedendo loro di trattare i defunti con la cura abituale e l'amore che li contraddistingue. La mancanza di interazione con le famiglie ha impedito loro di esprimere la solidarietà umana che è parte integrante del loro lavoro.
Ora, finalmente, il periodo difficile sembra essere alle spalle, e la normalità è tornata. Tuttavia, l'amaro in bocca e il disgusto per la mancanza di riconoscimento persistono. Il periodo della pandemia rimarrà impresso come un periodo in cui la loro umanità non è stata riconosciuta.
In questo contesto, il gesto di Tassera Guido, un appello a un brindisi di ringraziamento tra di loro, è un atto meritato di celebrazione per il loro impegno e la loro dedizione. In fondo, sono stati gli eroi silenziosi che hanno mantenuto la dignità nel momento più difficile.
Barbara Ruscitti 23/01/2024
Importanti scoperte sulla decomposizione dei cadaveri umani
Il sito AFTER (Australian Facility for Taphonomic Experimental Research) di Yarramundi sta conducendo significative ricerche sulla decomposizione dei cadaveri umani, offrendo contributi fondamentali nel campo sin dalla sua operatività nel 2016.
L'unicità di questa struttura nell'emisfero australe, lanciata dall'Università della Tecnologia (UTS), è evidente nel suo ruolo di osservare e studiare la decomposizione dei cadaveri umani. La dottoressa Maiken Ueland, ricercatrice associata e vicedirettrice del progetto, ha dichiarato che attualmente il sito ospita 74 corpi umani in vari stadi di decomposizione, con il team impegnato a massimizzare il valore di ogni donazione.
Una delle prime scoperte rilevanti è stata l'osservazione che le carcasse di maiale si comportavano in modo diverso rispetto ai corpi umani durante il processo di decomposizione. Questa scoperta, risultante da un approfondito monitoraggio stagionale della decomposizione, ha evidenziato la "decomposizione differenziale" negli esseri umani, rendendo più complessa la determinazione dell'ora della morte.
Uno studio condotto da Alyson Wilson, una studentessa con lode della Central Queensland University, ha rivelato che diverse parti del corpo, tra cui lineamenti del viso e mani, mostrano movimenti durante varie fasi di decomposizione, influenzando il lavoro investigativo sulle morti inspiegabili.
L'odore dei corpi è stato oggetto di un'ulteriore scoperta, con il team che ha identificato differenze significative tra l'odore dei maiali e quello degli esseri umani. Questa differenza impedisce l'utilizzo dei maiali per addestrare cani al rilevamento dei cadaveri.
Una scoperta di particolare rilevanza riguarda la mummificazione dei resti umani, un fenomeno che si verifica in modo inaspettato e in diverse stagioni dell'anno, influenzando l'accuratezza nella stima del tempo trascorso dalla morte.
Oltre all'UTS, il progetto AFTERS coinvolge 16 organizzazioni partner, tra cui università, agenzie forensi e forze dell'ordine. La ricerca sul sito ha una portata ampia, concentrandosi sull'ottimizzazione della ricerca di persone scomparse, sulle tecniche di calcolo dell'ora della morte e sull'identificazione del corpo, fornendo già notevoli risultati utili alle indagini delle forze dell'ordine.
Laura Liberale 11/04/2021
Un Percorso di Death Education
Laura Liberale intervista Elena Alfonsi
Perché ti occupi di raccontare la morte attraverso l’analisi delle opere d’arte?
Le opere d’Arte sono una straordinaria opportunità per fornire concretamente all’individuo la
dimostrazione di come le dimensioni individuali, relazionali, sociali entrino inevitabilmente in
gioco nei rapporti tra morte, cultura e storia; situazioni sociali e biografie individuali; condizioni di
malattia e vita quotidiana; perdite ed elaborazioni nelle diverse età della vita; interiorità e codici
comportamentali condivisi.
Se riteniamo che la cultura del mondo debba essere tutelata, ossia difesa e salvaguardata, poiché
fondante per la vita degli uomini, dovremmo ritenere, a maggior ragione, che anche la vita degli
uomini debba poter essere tutelata quindi difesa e salvaguardata ma anche: assistita, curata, protetta.
A questo proposito il percorso di DeAd che propongo, e che si intitola La Morte nell’Arte pone
attenzione, con l’ausilio delle immagini di opere d’Arte, alla sofferenza, al dolore e alla perdita
cercando di riconoscere nelle creazioni artistiche dell’uomo i profili dell’angoscia causata
dall’incontro con la morte e osservare come gli artisti abbiano gestito il suo racconto. L’insieme
delle opere d’Arte prese in considerazione daranno la possibilità di instaurare un confronto culturale
ampio in grado di promuovere l’integrazione della morte nella vita.
L’Arte permette di continuare a sensibilizzare la società sulla fondamentale importanza di divulgare
il lavoro dei professionisti che si occupano della cura dell’angoscia per la morte. Questo con
l’educazione, che è formazione, per portare a considerare le esperienze di perdita (intesa nelle sue
varie accezioni) e di lutto, come parti essenziali del senso della vita.
La paura di morire, di un corpo che si trasforma e della sua successiva decomposizione sono
ossessioni da emarginare. Per questo è indispensabile colmare la distanza che separa il pensiero dei
vivi dal loro giungere comunque inesorabilmente a un termine conducendo la società a raggiungere
un conveniente livello intellettuale e morale per divenire: “amica della morte” - “alfabetizzata dalla
morte”.
Guidare alla presa di coscienza dell’ultimo avvenimento della vita umana, reintegrando il pensiero
della morte nella vita collettiva, è un terreno educativo da presidiare in una prospettiva didattica
costante, non emergenziale né riparatoria ossia che tenda ad allontanarne o peggio sradicarne il
ricordo. Dobbiamo invece favorire il riavvicinamento dell’uomo al pensiero della morte. L’obiettivo
è rendere cosciente la comunità della fondamentale importanza di un percorso di consapevolezza
dell’esistenza di un fine vita nell’inscindibile rapporto con la vita. Attraverso la cultura potremo
sempre riflettere sulla cessazione delle funzioni vitali nell’uomo per rendere gli individui più maturi
e di supporto nei riti di passaggio per la pace dei vivi.
Le immagini di opere d’arte create da artisti del passato o contemporanei, stimolano a una
osservazione in grado di scomporre segno e colore, offrendo l'opportunità di un nuovo sguardo
dell’opera che ha in sé la morte quale fondamentale potenza creativa tutt'altro che scevra da un
assillante pensiero.
Quali sono le opere d’arte che prendi in considerazione?
Sin dall’antichità il compianto, il rito funebre e la sepoltura sono stati rappresentati da una
complessa gestualità e da una serie di credenze e superstizioni. Si trattava di riti di passaggio che
accompagnavano il corpo del defunto assicurando il distacco della sua anima e l’impossibilità di
ritornare nelle spoglie di un fantasma. La Chiesa tentò di attribuire a queste ritualità un fondamento
di fede, ma risultò molto difficile anche soltanto accostare il rito antico a valori cristiani. Benché
l’impresa fu irta di ostacoli il cordoglio collettivo, il funerale e la sepoltura, nel corso dei secoli
acquisirono un valore distinto di cerimonie di un “esodo” dell’anima dal corpo senza più vita alla
vita eterna, dannata o beata che fosse, e attribuirono ai vivi il ruolo di intermediario affinché i morti
giungessero più agevolmente in Paradiso. Era quello il momento del commiato in cui la ritualità
formulava la richiesta di riposo e luce eterna che contraddistinguono la pace della vita oltre la morte
terrena.
La persistenza delle tradizioni antiche, l’avvicinamento di motivi cristiani e il dolore umano
espresso di fronte al corpo morto hanno caratterizzato il rito funebre, già codificato da liturgia e
legislazione, estremamente complesso anche da raffigurare. Nell’ambito della rappresentazione
passionale figurativa molti studiosi, con non poche difficoltà, si sono impegnati a ricostruire la
ritualità che ha permesso di osservare il modo etimologicamente originario di intendere la passione.
Partendo da questo specifico significato l’analisi delle opere d’arte, del passato o contemporanee
che contengano elementi di relazione con la morte del corpo o rappresentino la morte di un corpo
come tipi diversi di configurazione, ritengo possa essere fondamentale per la narrazione della morte
in contrapposizione alla paura di morire.
Quali casi ritieni possano essere il fondamento dello studio sulla rappresentazione della morte?
La morte di Cristo o il martirio di San Sebastiano sono i due casi che ne danno una versione
particolare, ossia la morte come atto del morire poiché è coinvolta una tematica passionale che è
l’atto puntuale del morire. È questo il motivo per cui è inevitabile il coinvolgimento di
un’aspettualità della sofferenza: incoatività dell’agonia, puntualità dell’atto di morte, duratività
dell’essere morti. Da qui e dalla struttura che ne deriva è possibile vedere come la natura aspettuale
del morire in alcuni periodi storici venga caricata di contenuti ideologici che per essere espressi
nell’arte dovranno presentare figure particolari che siano in grado di rappresentare tale aspettualità.
Tuttavia parlare della morte come figura rappresentata è parlare della fisionomia della morte come
accadimento fisico che coinvolge l’essere umano, ma anche dei suoi simboli e dei suoi emblemi.
Tra gli artisti contemporanei che hai inserito nella tua ricerca quale potresti segnalarci in questa
occasione di dialogo?
Sono felice che tu mi abbia fatto questa domanda Laura perché mi permette di citare un artista
italiano di fama internazionale che ammiro: Agostino Arrivabene. Ritengo che tra le opere ancora
nel suo studio, una sia l’emblema di questa estenuante pandemia. È un lavoro del 2016 intitolato
Martyrii Corona che fu esposto in una ricca personale alla Casa del Mantegna a Mantova proprio in
quell’anno. Ricordo con chiarezza che quando la vidi mi si palesò immediatamente non solo una
precisa immagine di morte, ma anche la sensazione di percepirne la temperatura e l’odore. Non il
corpo ma l’interpretazione perfettamente rifinita, nello stile di un’artista di pittura meditativa colta,
di uno dei simboli della passione di Cristo: la corona del martirio. In uno spazio in cui la luce
sembra persino riluttante ad assumere il ruolo che le compete, una corona di capillari sanguiferi
posa in bilico di fronte a chi osserva su una spessa lastra marmorea dipinta a tutta lunghezza.
Un’architettura dal personale grafismo a punta di pennello, una fitta rete di sottilissimi vasi che
sembrano agitarsi come le ciocche sconvolte della “capellatura” medusea. Adagiata con sublime
delicatezza Martyrii Corona travalica lo stato di incertezza e precarietà dell’uomo, citando una
canestra del passato che riferiva della transitorietà tra la vita e la morte. L’ariosa consistenza
plastica posta al centro della pietra dirama come da una spina, verso l’alto e verso il basso, mentre il
calore che l’abbandona esala e si eleva con sottili stalagmiti cuneiformi. Essa tenta la fusione tra i
due mondi in uno schema derivato in pittura dai fiamminghi, visto in Bellini, in Mantegna, che
contrappone al gelido piano la danza di sangue arborescente, non ancora coagulato, percorso dalla
luce. Vibranti di quel colore, che forse più di tutti riporta alla realtà della morte, gli elementi
organici appaiono fisicamente tangibili inondati dalla delicata luminosità che non assorbe il dramma
ma al contrario lo amplifica e lo mette a nudo fondendolo al freddo e all’angoscia stimolata dalla
rigida pietra. Inevitabile legare il sentimento umano di chi osserva all’evidenza del sapiente studio
del disegno dall’antico, della sua comprensione, dal fatto di saper vedere il vero ed essere in grado
di trasformarlo in un’opera universale mai così attuale e capace di parlare nel tempo. Un dipinto
geniale e di forte intensità perché Martyrii Corona è il pianto dei dolenti che in questo triste
momento della storia dell’uomo sono stati travolti dal dolore per la morte dell’altro. Anche il rigore
della rappresentazione ci pone di fronte ad un crescendo di linee parallele in una prospettiva
bloccata, tagliata ai lati per attribuirle un valore psicologico: ciò che è dettato dal rigore scientifico
presuppone una lettura attenta. La pietra dipinta a marezza fornisce indicazioni precise sulla sua
consistenza e permette di comprendere le capacità dell’arte attraverso le qualità pittoriche di resa
che dimostrino come le opere che possiedono la forza di coinvolgere, debbano necessariamente
vedere unite nell’artista pittura e intelletto. Inevitabile che questa immagine non possa che rimanere
impressa in modo indelebile nella memoria per il rigore composto della tecnica, la precisione
prospettica, la capacità di rappresentare la realtà fatta di minuti particolari, l’invenzione
nell’accostare gli elementi. Una serie di passaggi bilanciati e graduali impongono allo sguardo di
procedere lungo la verticale dell’opera e scivolare sulla materia diversa. Il segmento temporale del
racconto, dal martirio alla gloria raggiunta con il sacrificio della vita, è preghiera di dolore. Ed è
così che l’esaltazione della sofferenza, di quel sangue versato, è passione che rivive nella perdita di
vigore materico in un progressivo levarsi al cielo. Una supplica ricreata sul ribaltamento della
consistenza, da solida a vapore che come fiamma trionfante ci esorta a non perdere la speranza.
In questa rappresentazione della morte vi è uno dei modelli di costruzione pittorica. Daniel Arasse
ha ben dimostrato che la prospettiva di Filippo Brunelleschi presenti un’esigenza di esattezza e di
coerenza della scena della pittura indipendentemente da ciò che vi si rappresenta, per cui attenzione
allo spazio. Leon Battista Alberti invece propone una prospettiva dove esattezza e coerenza sono in
funzione della narrazione, quella da lui definita “istoria”. Eppure, benché senza corpo, quest’opera
riveste un ruolo pedagogico-emozionale e stimola a provare passione poiché il meccanismo di
identificazione che si innesca tra il dipinto e colui che osserva, proprio in questo specifico tempo di
grande sofferenza del mondo, si attiva dalla dichiarata equivalenza di passione come movimento
dell’animo e il movimento creato dalla pittura. Mi pare evidente che questo modello possa essere
inserito nelle sfide alla natura della rappresentazione bidimensionale statica, dove lo spazio coerente
ed esatto è un principio ottico e geometrico. D’altro canto non potremo esimerci dal considerare in
questo luogo di dolore la possibilità di includere anche ciò che non è mai omogeneo alla natura del
piano dell’espressione della pittura, ossia la linearità della dimensione temporale del movimento,
cioè dell’azione.
Grava sull’uomo la drammatica esperienza di troppe improvvise sottrazioni e in questa tela il
messaggio è chiaro quand’anche raggiunga lo sguardo più vano. Forte è l’opera che seduce e nutre
il pensiero con immagini che raccontino del tempo che porta il morire di chi amiamo e di noi.
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Elena Alfonsi
Laureata in Storia della Critica d'Arte all'Università degli Studi di Padova scrive dal 1992 come Critica d'Arte.
Dal 2018 è Presidente dell'Associazione Culturale Aretè. Dal 1992 al 1997 a Milano è Consulente Scientifica per le acquisizioni della collezione privata appartenuta al Dott. Giorgio Cappricci.
Dal 1992 al 1999 è a Venezia come Consulente Scientifica di una Collezione Privata. Abita a Mantova ed è Critica d'Arte indipendente diplomata in Tanatologia Culturale al Master Death Studies e the End of Life - Dipartimento FISPPA - Università degli Studi di Padova con cui collabora dal 2018. Si occupa di arte, cultura e Death Education attraverso la pittura, la scultura, la fotografia, la letteratura, la poesia. E’ scrittrice, ideatrice di progetti didattico–culturali, di progetti di responsabilità etica a sostegno della cultura, di laboratori didattico formativi per un corretto approccio all’arte. Dal 2017 organizza a Mantova, nella prestigiosa sede della Casa del Mantegna una Rassegna di Cultura intitolata Alla fine dei conti. Riflessioni sulla vita e sulla morte.
Dal 2018 promuove il Progetto “La morte nell'Arte. La cultura veicolo di sviluppo”. Dall’A.A. 2019/2020 è Docente Esterna di Storia dell'Arte e Storia della Critica d'Arte alla Accademia Internazionale dell'Intaglio a Bulino e Belle Arti di Bruno Cerboni Bajardi a Urbino. Dal 2019 collabora con l'Istituto Mantovano di Storia Contemporanea di Mantova.Dal 2022 come Socia AGC sarà l'organizzatrice di un'esposizione itinerante, la prima in Italia, dedicata al Gioiello Devozionale Contemporaneo in collaborazione con AGC Associazione Gioiello Contemporaneo, che inizierà da Padova nell'Oratorio di San Rocco per poi proseguire in altre sedi.