11 articoli nella categoria Tanatodialoghi
Barbara Ruscitti 15/02/2024 0
La Pandemia e il Silenzio dei Custodi dell'Ultimo Addio: Una Storia di Rispetto e Sacrificio
È il 2024, e finalmente, sembra essere giunto il momento di aprire un dialogo riflessivo sulla pandemia di COVID-19, un periodo che ha scosso il mondo, lasciando dietro di sé storie di dolore, perdita e resilienza. Tuttavia, c'è un aspetto di questa crisi che spesso è rimasto nell'ombra, nascosto dietro il silenzio rispettoso di coloro che vivono il dolore della morte ogni giorno: i custodi dell'ultimo addio.
In un mondo in cui medici, infermieri, politici e virologi sono stati al centro della scena mediatica, gli operatori delle pompe funebri hanno agito nell'ombra, offrendo il loro servizio con dedizione e umanità. Il 2024 è iniziato, ma è tempo di dare voce a chi ha affrontato la pandemia da una prospettiva unica.
Un primo pensiero va ai colleghi che hanno perso la vita durante questa crisi, inclusi nella lunga lista delle vittime. Nonostante la loro importanza, il lavoro di questi custodi dell'ultimo addio è stato spesso ignorato dai mezzi di informazione, che si sono concentrati su altre figure cruciali nella gestione della pandemia.
Il Santo Padre ha offerto un unico ringraziamento durante un Angelus domenicale, riconoscendo il loro prezioso lavoro. Tuttavia, il silenzio mediatico ha persistito, relegando l'importanza del loro ruolo a un secondo piano. Vivendo una realtà in cui il lutto si mescola con la routine quotidiana, questi professionisti sono abituati a gesti scaramantici, osservati mentre sono fermi al semaforo con i loro mezzi di lavoro.
Nonostante la percezione comune che il loro lavoro sia dettato dal guadagno, questi custodi dell'ultimo addio si distinguono per il rispetto e l'umanità con cui trattano ogni defunto. Ognuno di loro adotta piccole attenzioni, come mettere un fiore tra le mani del defunto, nascondere un santino nella cassa o posare una monetina o una medaglietta. Questi gesti non sono per i propri cari, ma per le persone di cui si stanno occupando, dimostrando un amore che va oltre le convenzioni.
La pandemia ha rappresentato una sfida emotiva per questi professionisti, impedendo loro di trattare i defunti con la cura abituale e l'amore che li contraddistingue. La mancanza di interazione con le famiglie ha impedito loro di esprimere la solidarietà umana che è parte integrante del loro lavoro.
Ora, finalmente, il periodo difficile sembra essere alle spalle, e la normalità è tornata. Tuttavia, l'amaro in bocca e il disgusto per la mancanza di riconoscimento persistono. Il periodo della pandemia rimarrà impresso come un periodo in cui la loro umanità non è stata riconosciuta.
In questo contesto, il gesto di Tassera Guido, un appello a un brindisi di ringraziamento tra di loro, è un atto meritato di celebrazione per il loro impegno e la loro dedizione. In fondo, sono stati gli eroi silenziosi che hanno mantenuto la dignità nel momento più difficile.
Barbara Ruscitti 23/01/2024 0
Importanti scoperte sulla decomposizione dei cadaveri umani
Il sito AFTER (Australian Facility for Taphonomic Experimental Research) di Yarramundi sta conducendo significative ricerche sulla decomposizione dei cadaveri umani, offrendo contributi fondamentali nel campo sin dalla sua operatività nel 2016.
L'unicità di questa struttura nell'emisfero australe, lanciata dall'Università della Tecnologia (UTS), è evidente nel suo ruolo di osservare e studiare la decomposizione dei cadaveri umani. La dottoressa Maiken Ueland, ricercatrice associata e vicedirettrice del progetto, ha dichiarato che attualmente il sito ospita 74 corpi umani in vari stadi di decomposizione, con il team impegnato a massimizzare il valore di ogni donazione.
Una delle prime scoperte rilevanti è stata l'osservazione che le carcasse di maiale si comportavano in modo diverso rispetto ai corpi umani durante il processo di decomposizione. Questa scoperta, risultante da un approfondito monitoraggio stagionale della decomposizione, ha evidenziato la "decomposizione differenziale" negli esseri umani, rendendo più complessa la determinazione dell'ora della morte.
Uno studio condotto da Alyson Wilson, una studentessa con lode della Central Queensland University, ha rivelato che diverse parti del corpo, tra cui lineamenti del viso e mani, mostrano movimenti durante varie fasi di decomposizione, influenzando il lavoro investigativo sulle morti inspiegabili.
L'odore dei corpi è stato oggetto di un'ulteriore scoperta, con il team che ha identificato differenze significative tra l'odore dei maiali e quello degli esseri umani. Questa differenza impedisce l'utilizzo dei maiali per addestrare cani al rilevamento dei cadaveri.
Una scoperta di particolare rilevanza riguarda la mummificazione dei resti umani, un fenomeno che si verifica in modo inaspettato e in diverse stagioni dell'anno, influenzando l'accuratezza nella stima del tempo trascorso dalla morte.
Oltre all'UTS, il progetto AFTERS coinvolge 16 organizzazioni partner, tra cui università, agenzie forensi e forze dell'ordine. La ricerca sul sito ha una portata ampia, concentrandosi sull'ottimizzazione della ricerca di persone scomparse, sulle tecniche di calcolo dell'ora della morte e sull'identificazione del corpo, fornendo già notevoli risultati utili alle indagini delle forze dell'ordine.
Nicolas Tiburzi 14/12/2022 0
L’ importanza di idonei servizi funebri per dare alla “morte” la valenza sociale che merita
Recuperare una cultura del fine vita e re-inventare il rito funebre è fondamentale: la rilevanza di
questa necessità non riguarda solo il campo psicologico dell’ individualità, ma la dimensione
sociale della collettività.
Il rito funebre permette di esorcizzare la morte, fare fronte all’angoscia che essa rappresenta,
alleviare il senso di solitudine. Condividere il dolente momento ed elaborare la perdita consente
numerosi vantaggi anche a livello psicologico. Da una dimensione individuale, a una dimensione
condivisa: i servizi funebri devono restituire all’ “evento morte” la valenza socio – culturale che
decisamente merita!
Senza dubbio, il culto della morte e dei morti è da sempre un elemento caratterizzante di ogni
popolazione.
Il rito funebre, variabile per culture, usi, tradizioni, epoche, è stato nel corso del tempo oggetto
di diverse modifiche, ma nei fatti, si parla sempre di gesti e comportamenti socialmente
condivisi e riconosciuti, finalizzati a dare dignità e in qualche modo “esorcizzare” il timore e la
paura dell' evento morte, ma anche ad elaborare il doloroso momento della perdita.
Ad oggi, la tematica è quasi un tabù, un tema scomodo che si cerca di evitare. Come se la
morte non ci toccasse, un po' come rimandare il pensiero per non volercisi “soffermare”.
Nei fatti, invece, essendo questo un dolente accadimento che ci dobbiamo trovare tutti, prima o
poi, ad affrontare, merita di essere preso in considerazione con luce nuova.
La morte è a tutti gli effetti circondata da gesti simbolici e questo è un tratto distintivo dell’uomo.
Fa parte della natura umana, infatti, rivolgere cure, attenzioni e sentimenti verso i defunti.
Secondo noi di Tanmagazine, non è solamente quanto mai necessario recuperare una cultura
del fine vita, ma esiste anche - e soprattutto - un grande bisogno di re-inventare il rito funebre, e
i servizi ad esso collegati.
E la rilevanza di questa necessità non riguarda solo il campo psicologico dell’ individualità, ma
la dimensione sociale della collettività.
Non ci sono dubbi, infatti, che il dolore provato e mostrato per la perdita di una persona cara
segua una serie di rituali, amari e consolatori, nonché il bisogno di elaborare il lutto e la perdita.
In questo senso, i servizi funebri non possono esimersi dall’ esserne all’ altezza: si tratta di
accompagnare questo momento verso un passaggio naturale, da vita terrena a “memoria”, in
modo quanto più dignitoso possibile.
Siamo pienamente consapevoli che ad, oggi, il rito funebre, nell' immaginario e nella cultura
condivisa, non sia affatto “sentito”.
Un tempo c’era più attenzione e cura per il defunto, ma, anche in questo campo, gli usi e i
costumi cambiano, e adesso, molte tradizioni che prima erano rilevanti, non esistono più.
E’ come se il tema della morte e le questioni ad essa connesse fossero state socialmente
rimosse, destinate all’ombra di un inconscio collettivo, cercando di negare e rimuovere le
emozioni negative che la perdita porta con sé.
Eppure, l’ importanza del rito funebre è fondamentale.
Oggi, la ritualità sociale legata alla morte rimane sì, ma in forma ridotta.
Basti vedere cosa avviene dopo la scomparsa di una persona cara. Il più delle volte parenti e
amici porgono l’ ultimo saluto al defunto abbastanza frettolosamente, o all’interno delle mura
domestiche,
oppure nelle strutture sanitarie, dentro i freddi obitori degli ospedali, luoghi profondamente
inidonei a garantire la necessaria intimità e riservatezza. Altre volte, invece, ci si limita
solamente ad un saluto presso la camera ardente.
Tra l’ altro, in queste situazioni, la salma, provata dal trapasso, si presenta agli occhi delle
famiglie, ovviamente, non in perfette condizioni, anche da un punto di vista puramente
“sensoriale”.
In ogni caso, gesti frettolosi e impersonali non sono certo adatti a rappresentare a pieno i
desideri e le volontà di raccoglimento di famiglia, parenti e amici, che avrebbero bisogno di
tempo per ricongiungersi col caro scomparso, per pregare o, ad ogni modo, per ricordarlo.
Le cerimonie poi sono sempre più spesso laiche, oppure si opta per una breve benedizione,
sbrigativamente, senza particolari emozioni.
Il rischio di tutto questo? Sicuramente, la “spersonalizzazione”. Il lutto è privato, nella pratica, di
gran parte della potenza emotiva e simbolica di un tempo.
Oggi è un evento vissuto spesso sotto forma non pubblica, un dolore che la persona deve
superare essenzialmente da sola, poiché la società tende, come già abbiamo detto, a negarne
e rimuoverne le dimensioni.
Nei fatti, possiamo dire che manca una vera e propria cultura, per il tessuto sociale e per le
famiglie, che possa far capire quanto il rito funebre sia invece importante.
Di fronte alla perdita di una persona cara, spesso si è confusi, insicuri, presi dall’onda delle
emozioni, travolti da un senso di angoscia e di tristezza.
Ecco che le ritualità legate alla morte hanno invece la funzione di agevolare il distacco di chi è
“mancato”, consentendo di avere a disposizione una rete sociale di supporto.
Psicologicamente e socialmente, il rito può presentare anche una lettura simbolica.
Permettendo di “mettere in scena” il dolore, il rito funebre lo porta infatti da una dimensione
individuale a una dimensione collettiva di condivisione.
Numerosi studi e ricerche sono infatti concordi nell’ affermare che il lutto non elaborato e non
trattato provoca angoscia e depressione negli individui e, di conseguenza, nella nostra società.
Il rito funebre, in quest’ ottica, permette invece di esorcizzare la morte, fare fronte all’angoscia
che essa rappresenta, alleviare il senso di solitudine.
Ecco che il ruolo di servizi funebri adeguati, in questo contesto, è essenziale.
Prima di tutto, si rende necessario dedicare attenzione e cura al defunto nelle operazioni di
veglia. E qui diventa cruciale la nostra Tanatoprassi, che consente di offrire maggiore dignità
alla morte, permettendo la conservazione della salma a lungo, in condizioni di igiene e
sicurezza.
E poi, diventano fondamentali una serie di operazioni “sociali”: partecipare attivamente al rito e
dedicare il tempo idoneo al caro defunto, vegliandone le passate spoglie e condividendo questo
momento, in serenità e raccoglimento, con le altre persone.
Tutto questo consente a “chi resta” di alleviare la sofferenza legata al lutto, elaborando il dolore,
il senso di solitudine e di abbandono. Un sostegno, un aiuto, anche pratico, per affrontare la
quotidianità e per riprendere la vita di sempre.
Non solo. La partecipazione attiva al rituale consente di evitare anche possibili complicazioni
future per chi ha subito la perdita, quali depressione e disturbi post traumatici da stress, su cui
numerosi sono gli studi - nel settore della psicologia e delle neuroscienze - che ne attestano la
profonda correlazione.
In conclusione, possiamo dire che di fronte alla tragedia o al dolore, il rito funebre può
consentire alle persone in lutto di accettare emozioni così complesse.
Spesso, i rituali significativi sono in grado di “placare”, “alleviare” sentimenti o sensazioni
negativi o, anche, esprimere ciò che le parole non possono e contribuire, così, all’ elaborazione
della perdita.
In quest’ ottica, riteniamo fondamentale quindi che i servizi funebri si porgano al servizio dell’
individuo e della collettività, contribuendo a dare all’ evento morte, ossia a quel momento
evolutivo dell’ indivuiduo che corrisponde al “fine vita”, la valenza socio – culturale che
decisamente merita.
Andrea Pastore 13/10/2021 0
Gli animali hanno un concetto di "morte" e sperimentano il lutto?
Secondo la tanatologia, due criteri fondamentali per poter stabilire l'esistenza di un concetto di morte nelle varie specie animali sono ritenuti essere il riconoscimento verso un individuo morto della "perdita di funzionalità" e della "irreversibilità" della sua condizione.
Uno dei comportamenti più frequenti e utili per studiare il concetto di morte nelle varie specie è quello riscontrato in molte specie di primati dove le madri trasportano e curano il corpo senza vita dei loro infanti.
Questo comportamento risulta ambivalente: i comportamenti di queste madri sono ascrivibili ad un "lutto materno" oppure al contrario mostrano come le stesse non abbiano ben compreso l'irreversibilità della perdita di funzionalità dei loro infanti e dunque la loro morte?
In un recente studio alcuni ricercatori hanno esaminato una vasta mole di dati presenti in letteratura su circa 409 eventi di ICC (infant corpse carried by mothers) rappresentati trasversalmente in 50 specie di primati cercando di comprendere quali variabili influenzino questo comportamento e se lo steso possa essere effettivamente usato per stabilire la comprensione del concetto di morte in una data specie.
I risultati hanno mostrato come nelle specie in cui si è osservato tale comportamento, la probabilità di trasportare il cadavere era più bassa se le cause della morte dell'infante erano di origine traumatica, come ad esempio nel caso dell'infanticidio, rispetto al caso in cui fossero di origine naturale (malattie). Anche l'età della madre influiva su questa probabilità, infatti le giovani madre mostravano una probabilità maggiore nell'eseguire questo comportamento rispetto a madri più anziane.
Inoltre, al momento della morte tanto più era bassa l'età dell'infante tanto più si allungava la durata del trasporto del suo cadavere da parte della madre. Questo suggerisce come alla base di questa differenza ci sia la forte motivazione emotiva legata al legame madre-infante che risulta essere molto più forte nelle primissime fasi dell'ontogenesi degli infanti.
Questi risultati presi insieme ci indicano come nelle varie specie di primati in cui si è riscontrato questo comportamento sia la presenza e il grado del legame emotivo madre-infante, sia le diverse cause di morte dell'infante ne condizionano la sua frequenza e la sua durata.
Gli autori suggeriscono come in presenza di molti più segnali indicanti la "perdita di funzionalità" e "l'irreversibilità" a seguito della morte dell'infante come nel caso delle morti di origine traumatica e con l'avanzare dell'età delle madri, queste riescano ad imparare più facilmente che l'infante sia morto e di conseguenza evitano di trasportarlo; viceversa la motivazione a continuare a prendersi cura del cadavere sarebbe più forte nel caso in cui le cause della morte siano "ambigue" e l'età dell'infante sia bassa, data la presenza di una forte motivazione materna ad accudire l'infante nelle primissime fasi della sua vita.
Non si può comunque escludere che la probabilità di trasportare il cadavere dell'infante sia più bassa nel caso delle morti di origine traumatica a causa della presenza di un contesto socio-ambientale inibitorio in tal senso; le madri potrebbero non trasportare e abbandonare il corpo dei loro infanti a causa dello stress e della paura condizionata dagli eventi che hanno ad esempio portato all'infanticidio dei loro piccoli.
Insieme, questo gradiente legato al trasporto del cadavere degli infanti lascia ipotizzare come la presenza di un concetto minimo di morte possa essere presente nelle specie di primati in cui è stato osservato tale comportamento e come tale concetto affondi le radici all'interno di un'esperienza comparabile al lutto vissuta dalle madri in funzione del grado del legame emotivo madre-infante e delle cause della morte di quest'ultimo.
Gli umani sono stati a lungo considerati gli unici in grado di comprendere il concetto di morte ed eseguire alcuni riti funebri, come il lavaggio del corpo del defunto.
Questo atto è stato eseguito per millenni, in tutte le sue forme, sulla terra, sott'acqua, nell'aria, di notte o in pieno giorno.
Non si considera che un animale possa rattristarsi. Eppure, può comportarsi in modo molto simile a quello di un essere umano, specialmente tra le grandi scimmie, di fronte alla morte. Si può parlare di lutto o empatia, anche se queste caratteristiche sono considerate appannaggio dell’antropomorfismo.
Si può presumere che i compagni della vittima mostrino il dolore per una grande perdita in termini sociali, ma è impossibile valutare le emozioni causate da questa perdita. Le espressioni più sottili di emozione, le uniche in grado di rivelarci informazioni sull'impatto della perdita subita, sfuggono a tutte le osservazioni, neutralizzate da sentimenti più immediati come paura, rabbia, tristezza o persino gioia alcuni casi. Ma i congeneri della vittima raramente sono i testimoni immediati della morte, non trovandosi vicino al corpo.
L'espressione di empatia, lutto e dolore, così come altre manifestazioni generalmente associate alla perdita di un altro essere umano, sono di difficile accesso quando si è nel regno animale, poiché ci si può basare solo su comportamenti osservabili che rivelano informazioni parziali e limitate sulle emozioni vissute dall'animale.
Per essere in grado di condurre ricerche sulle reazioni degli animali alla morte, dobbiamo pensare ai casi in cui colpisce una determinata popolazione dal vivo, permettendo così un contatto immediato con il cadavere. Raramente conosciamo gli eventi che precedono la morte, nonché le relazioni sociali che uniscono la vittima ai sopravvissuti, che potrebbero fare luce sui sentimenti degli altri di fronte alla morte. Nei primati e nelle grandi scimmie possiamo distinguere diverse forme di morte: morte accidentale, morte di giovani o anche morte per malattia.
Che consapevolezza hanno gli animali della morte?
Se gli animali riescono a capire fino a un certo punto il passaggio dalla "vita" a quella "senza vita" di uno di loro, che dire della propria morte? Ne sono consapevoli?
I gorilla adottano diversi comportamenti simili a quelli osservati nell'uomo, inclusa una fase di lutto.
Per i ricercatori, la comprensione che gli animali hanno del passaggio dalla vita alla morte è spesso sottovalutata.
Si ritiene che molti fenomeni, come la capacità di ragionare, di usare strumenti o la consapevolezza della morte, differenzino l'uomo da altre specie. Ma la scienza ha dimostrato che questo confine è lungi dall'essere definito come si potrebbe pensare. Il modo in cui i gorilla rispondono all'agonia o alla morte di un compagno indica che la loro consapevolezza della morte è molto più sviluppata di quanto si possa immaginare.
Nicolas Tiburzi 19/08/2021 0
La Chiesa può negare un funerale?
Se il defunto è un criminale mai pentito, può ricevere la benedizione di un sacerdote ed essere seppellito in un Campo Santo?
Chiedersi se la Chiesa può negare un funerale e quando può farlo obbliga a dare un’occhiata al Diritto canonico, ma anche all’essenza stessa della Chiesa cattolica. E pone anche qualche problema, per così dire, etico che viene spesso valutato di volta in volta a seconda del soggetto, delle circostanze e dal sacerdote.
La morte di Totò Riina, come prima quella di Bernardo Provenzano e di altri criminali che non si sono mai pentiti delle atrocità che hanno commesso, ha portato di nuovo alla luce la posizione della Chiesa sull’opportunità o meno di fare un funerale (pubblico o privato che sia) ad un delinquente di tale portata.
Funerale di un criminale: cosa dice il Diritto canonico
In base al Diritto canonico [1], la Chiesa cattolica può negare un funerale se prima della morte il soggetto non ha dato alcun segno di pentimento dei suoi errori e se:
· è notoriamente apostata, eretico o scismatico (cioè se è andato di proposito contro gli insegnamenti della Chiesa e della fede cattolica, anche se in apparenza ha osservato alcuni riti come quello del matrimonio o del battesimo dei figli);
· ha scelto la cremazione del proprio corpo per ragioni contrarie alla fede cristiana;
· è stato un peccatore manifesto.
Lo stesso articolo, però, invita a sentire il parere dell’ordinario del luogo (il parroco, il vescovo) e di sottomettersi al suo giudizio personale. Significa che ci potrebbe essere un sacerdote che, per suoi motivi di pensiero ed in coscienza, potrebbe decidere di negare o di accettare di celebrare il funerale di una certa persona o di benedire la sua salma.
Il giudizio del sacerdote: quando sì e quando no
Spesso la rabbia di fronte ai crimini commessi da una persona può portare a giudizi assolutamente comprensibili ma, di fronte alla sostanza della legge (in questo caso della legge ecclesiastica), non sempre corretti. Succede anche con le questioni che riguardano tematiche più profane: una sentenza che applica la legge alla lettera o l’interpretazione di un giudice può essere più o meno condivisa, ma quella è e quella bisogna accettare.
Nell’argomento che ci occupa, un sacerdote o un singolo vescovo hanno il titolo di decidere quando la Chiesa può negare un funerale? Tecnicamente sì, perché hanno ricevuto un mandato per rappresentare la legge divina, così come un magistrato lo ha ricevuto per rappresentare la «legge umana» (per chiamarla così).
Sta dunque al giudizio del prete o del prelato stabilire se il passato del defunto e le circostanze sociali permettono di poter celebrare un funerale pubblico o meno.
Ma se la famiglia chiedesse il funerale privato, lontano da tutti per non creare scandalo pubblico, il sacerdote come si deve comportare?
Qui si entra in un terreno molto delicato. Vangelo alla mano, la fede cristiana si basa sul perdono e sulla redenzione. La benedizione di una salma ed il rito funebre comportano, però, un perdono che viene concesso soltanto a chi lo chiede. Se uno non si pente di quello che ha fatto, di che cosa lo si deve perdonare? Se il defunto non lo ha fatto, nemmeno la famiglia può chiederlo al suo posto. Si può stare vicino ai parenti, li si può consolare se non hanno condiviso la vita del loro familiare. Tutto qui, però. Per la Chiesa, il sacramento della confessione è vincolato al pentimento. Di conseguenza, il sacerdote può rifiutarsi di benedire quella salma e, quindi, di celebrare un funerale anche alla presenza di pochi intimi.
Naturalmente, tutto è soggettivo. In teoria, l’articolo del Diritto canonico che abbiamo citato riguarda tutti i «peccatori manifesti», cioè anche i divorziati («non osi separare l’uomo ciò che Dio unisce», si sentono dire gli sposi), i ladri, chi crea pubblico scandalo. Ma mettere tutti sullo stesso piano sarebbe ridicolo: non si può paragonare un criminale come Riina ad un divorziato onesto o a un ladro di polli. Per questo, alcuni rappresentanti della Chiesa, fortunatamente verrebbe da dire, valutano di volta in volta il soggetto che hanno davanti. Altrimenti (forse) di funerali non se ne farebbero più.
Un criminale può essere seppellito in cimitero?
Teoricamente, e per i motivi che abbiamo appena spiegato, una persona che ha vissuto fuori dalla fede cattolica e che, manifestamente, ha vissuto facendo del male al prossimo non può essere seppellito in un cimitero se non ha chiesto il perdono di Dio. Il motivo non è semplice (come abbiamo appena visto) ma è chiaro: il cimitero non è un «deposito di salme» ma è un campo santo e benedetto destinato ad ospitare chi ha ricevuto il perdono divino attraverso un ministro della Chiesa cattolica. Quindi, chi non si è mai pentito di quello che ha fatto in vita e, per questo, non ha avuto un funerale cattolico, non può riposare in cimitero.
Qualche anno fa avevano fatto scalpore i funerali in pompa magna di Vittorio Casamonica a Roma. In quell’occasione Famiglia Cristiana aveva intervistato il teologo Silvano Sirboni che si espresse su quelle esequie degne di un principe del Rinascimento.
“Il funerale non santifica la vita di nessuno – affermò Sirboni – mette le mani di ciascuno nelle mani della infinita misericordia di Dio”. A meno che non ci sia un rifiuto in vita da parte del soggetto in questione, tutti hanno diritto ai funerali in quanto battezzati “Magari sono stati infedeli al battesimo, ma la Chiesa prega anche per loro“, continuò.
“Nessun parroco può rifiutare di celebrare un funerale, – continuò il teologo – a meno che non ci siano prove che sia stato rifiutato dal defunto stesso”.
Qualche anno fa anche il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, aveva intimato ai suoi sacerdoti di non celebrare in chiesa i funerali dei boss della camorra.
Conclusioni
La Chiesa non è un’istituzione sociale o umanitaria qualsiasi e che rivolge i propri servizi a chiunque, né tanto meno offre un servizio di onoranze funebri indifferenziato.
La celebrazione delle esequie ecclesiastiche è stabilita dal diritto canonico con riti, simboli e canti ben precisi per cui nessun fedele ha il diritto di modificare il rito liturgico. La Chiesa agisce in foro esterno in quanto non può giudicare le intenzioni del cuore e la responsabilità morale di ciascuno, ma può attenersi ai soli atteggiamenti espressi o dichiarati pubblicamente in vita. La Chiesa, tuttavia, prega per tutti i peccatori, per la loro conversione e ne invoca la misericordia divina.
Fonti:
Famiglia Cristiana laleggepertutti.it